I VESTITI DEL RE

La mia sola dipendenza è la libertà.
E non intendo disintossicarmi.
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I'm addicted to freedom only.
And I'm not going to undergo any treatment.

lunedì 24 marzo 2014

IL TEMPO E' RELATIVO

Sbattendo contro questo articolo mi è tornata in mente una pseudo-conversazione avuta con un collega, qualche mese fa.

Alla mia considerazione secondo cui i nostri orari di lavoro e le giornate di impegno (non equamente retribuiti peraltro), lasciassero ben poco, troppo poco, spazio alla vita privata  (davvero poco, a volte nessuno per intere settimane), 
il suo sornione commento, è stato qualcosa del tipo "di che ti lamenti, come faresti se avessi famiglia?". 

Premesso che con impegni tanto pervasivi pensare di dedicarsi come sarebbe richiesto (con attenzione, cura e presenza) ad eventuale prole non sarebbe possibile (anche se, "naturalmente", per i colleghi maschi che svolgono il medesimo lavoro è diverso, poiché ci si aspetta siano le mogli ad occuparsi di casa e figli), 
non avere famiglia potrebbe essere una scelta deliberata e consapevole,
e tale scelta potrebbe essere finalizzata anche a garantirsi la possibilità di dedicare del tempo a sé stessi, a coltivare i propri interessi e relazioni, e perché no, a ricaricarsi per affrontare il lavoro con energie rinnovate, il nocciolo della questione è un altro.

Il lavoro deve essere di per sé gratificante, fa parte della vita di una persona e dovrebbe arricchirla, non impoverirla. Dovrebbe essere stimolante ed interessante. 
E i diritti delle persone che lavorano dovrebbero essere riconosciuti in modo giusto e "naturale".
Pare non sia così, e pare sia "meno così" per le donne.

Non si tratta di scegliere tra "scarpe" e "bambini", di essere o meno madri.
Si tratta piuttosto di superare questa assurda distinzione tra l'uomo, che ha tutto il diritto non solo di lavorare (e molto) ma anche di avere spazi per sé (che sia o meno anche un padre), e la donna, alla quale non viene riconosciuta la facoltà di avere una propria vita oltre ai doveri.

Non è quindi tra "single" e "mamme" che dovremmo andare a cercare la discriminazione.

***

Il tempo di noi single non vale meno di quello di voi mamme
di Elvira Serra 
 
 Lo so, rischio l’impopolarità. 
Ma questa cosa bisogna dirla. 
Il valore del tempo, come la legge, deve essere uguale per tutti. 
Qualche giorno fa un’amica mi ha raccontato: Sai, al lavoro stavo facendo sette cose contemporaneamente quando il mio capo mi ha chiesto se dopo potevo aiutarlo con un’altra. 
L’ufficio era deserto. Così sono sbottata: scusa, ma dove sono finite tutte? 
E lui, serafico: ma loro hanno dei bambini, ho detto che potevano andare a casa 
 Come se l’essere mamma facesse acquisire per diritto di parto dei crediti negati a chi mamma non lo è (e certo, se continua a lavorare così tanto figuriamoci se lo sarà mai!). 
Come se il tempo dell’una fosse in automatico più prezioso del tempo dell’altra. Il caso non è isolato. 
E il tema è ancora più caldo adesso. Non solo perché bisogna fare la denuncia dei redditi e, come ha scritto la mia collega Antonella Baccaro nel suo forum, se sei single paghi più tasse. 
Ma perché si avvicina la programmazione delle ferie estive e cominciano le grandi manovre per spostare le X sul tabellone delle presenze. 
Chissà perché, me lo ha confermato settimana scorsa un altro amico che fa il tecnico dei computer, quando c’è da cambiare le date si chiede sempre a chi non è sposato e non ha famiglia, facendolo pure sentire in colpa Dai, cosa ti costa? Tu non hai nessuno, lui invece ha la moglie con i giorni blindati A sentire tutte queste storie mi viene in mente Carrie Bradshaw quella volta che è andata alla festa per la nascita del nuovo figlio di Kyra e Chuck. Costretta a levarsi le scarpe all’ingresso, al momento di andare via si accorge che gliele hanno rubate. Era un paio di strepitose Manolo Blahnik color argento da 485 dollari, immolate sull’altare della sacra famiglia americana. 
Tant’è che Kyra minimizza con Carrie: “Non è il caso di prendersela tanto, è solo un paio di scarpe. E costa una cifra immorale!”. Carrie per un attimo mette in discussione il valore della sua vita di single, ma infine risolve la faccenda facendo una fantomatica lista nozze per il suo matrimonio con se stessa e invitando l’amica a partecipare al lieto evento acquistando l’unico articolo scelto come regalo: le Manolo perdute. Che così ritornano a casa. Quindi, sapete che c’è? C’è che io voglio le mie Blahnik. Metaforicamente (ma anche no). 
Il mio tempo di single vale come quello di una felice pluripara. 
La mia serata sul divano a leggere un libro è per me altrettanto vitale, rinfrancante e importante di quanto non sia per una mamma coccolare il suo bebè. 
Dunque, avviso ai naviganti: d’ora in poi per cambiare il turno delle ferie si estrae a sorte. 
E, in attesa di un figlio, io mi tengo le scarpe.

corriere.it


domenica 23 marzo 2014

ESPERIENZE


Le esperienze che contano
sono spesso quelle che non avremmo mai voluto fare, 
non quelle che decidiamo 
noi 
di fare

Alberto Moravia .

venerdì 21 marzo 2014

SEXISM AND THE SILICON VALLEY

Mi indirizzo per caso su un articolo il cui titolo attira la mia attenzione:
"Il sessismo nella Silicon Valley e lo "strano" caso di Julie Ann Horvath". 
Leggo distrattamente, e lì per lì non capisco cosa ci sia di "strano". 
La giornalista esordisce così: 

"C’è una storia che sta facendo molto discutere i media americani e che parla di un tema assai controverso,quello del sessismo nell’industria del tech e nel mondo del lavoro in generale. 
- Da noi le discriminazione di genere sul posto di lavoro sono ancora un tema poco toccato. Le donne  in molte realtà italiane sono ancora costrette a combattere per il permesso di maternità e sono ancora troppo poche nei posti di comando per fare emergere la questione. Ma c’è da starne certi: tra qualche anno il dibattito diventerà caldo anche da noi."

Niente di "strano", dunque.

Un'ordinaria (purtroppo) storia di discriminazione di genere.
Continuo a leggere, cercando qualche spunto di riflessione, amara, naturalmente.
E mi sembra di non sentire nulla di nuovo, nulla di fuori dall'ordinario, niente di ecclatante.
Proseguo.

"Horvarth racconta di aver lavorato duro per cambiare la cultura maschilista, tipica dell’ambiente tecnologico che tiene fuori dalla porta le donne in quanto considerate “inesperte” e che funziona come un club per soli maschi. E spiega di essersi fatta valere puntando i piedi."
 [...]

Ma la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso di Julie è stata un’altra. 
“Un giorno ho visto due mie colleghe, due amiche e due donne che stimo molto, giocare con l’hula hoop in ufficio. 
E fin qui niente di male. 
Peccato che lo stessero facendo davanti a un gruppo di colleghi uomini che stavano lì seduti a guardarle e battevano le mani. 
Come se fosse uno strip club. 
Non ci ho più visto e me ne sono andata”.
[...]
Al di là del merito, questa storia è interessante perché dimostra come il problema del sessismo sul posto di lavoro (che sia in ambito tecnologico o meno) è ancora molto grande. Persino in realtà moderne e all’avanguardia come la Silicon Valley. 
E che le donne, cercando di combatterlo, mettono a rischio le loro carriere. 
Ma non solo. 
Quanto accaduto a Horvath dimostra come spesso siano le donne a fare la guerra alle donne sul posto di lavoro.  
“Femminista da strapazzo” sta diventando infatti un insulto molto comune, rivolto a quelle donne che non accettano comportamenti discriminatori o battute sessiste dai loro superiori. E non sempre queste parole escono dalla bocca di un uomo"


E ancora non trovo nulla che mi "stupisca".
Ho addirittura l'impressione che sia un'articolo buttato lì, giusto perché l'argomento ogni tanto torna di moda, viene trattato in modo superficiale ma nella realtà dei fatti ignorato nel profondo.

Ed ecco che (illuminazione!) l'interesse si risveglia.
E' proprio questo meccanismo perverso, che ci fa dubitare della realtà dei fatti, che ci fa sminuire la gravità ed il peso di certe situazioni, il problema.
Questa nostra "abitudine" a considerare le battute, i comportamenti squalificanti, questa ostentata condiscendenza nei confronti di esseri che (è palese, è ovvio, è naturale), sono diversi.
Qui risiede il problema.

Non entro nel merito dell'episodio o del fatto in sé, non lo conosco e non ho letto abbastanza.
Mi soffermo sull'impressione che un articolo come questo produce.
Vicino al nulla.

Poi finalmente una conclusione (astratta e avulsa dal contesto) che di nuovo risveglia l'attenzione, e che condivido.

"Ma davvero ribellarsi a logiche ottocentesche, rifiutare le battutine, sottrarsi al gioco di compiacimento [...] attraverso la comunicazione fisica o non accettare di essere messe all’angolo nonostante si sia sgobbato [...] è roba da femministe? Non è piuttosto il comportamento di essere umani che lavorano e pretendono, come tutti, che i loro diritti siano rispettati?

Ecco, al di là dello specifico caso, questo è un interrogativo che ha senso.
Questo è il punto di partenza (e forse anche di arrivo).
La richiesta di vedere riconosciuti i propri diritti è legittima, è doverosa.
Pretendere di non vedere sempre preso in considerazione il proprio corpo piuttosto che la persona nella sua interezza.
Sembra un'inezia. E' una montagna.
 
Al di là del caso specifico.

Fonte

giovedì 20 marzo 2014

NONSENSE


Umorismo "spicciolo", ma a tratti divertente. Si può leggere a livelli vari. Tenendo presente che, a differenza di quelle che chiamiamo "Fiabe", a queste storie i bambini erano (o sono tutt'ora?) invitati ed indotti a credere. Il pensiero logico annientato fin da piccoli. Un sistema educativo che prepara gli individui ad essere gente, non persone.

domenica 16 marzo 2014

PENS FOR LADIES

Un video da ascoltare.
Una risposta intelligente e divertente ad una trovata davvero idiota.



Tanta, tanta strada da percorrere ancora.
Prima però dovremmo prendere la direzione giusta.
Siamo molto lontani anche da questo.