I VESTITI DEL RE

La mia sola dipendenza è la libertà.
E non intendo disintossicarmi.
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I'm addicted to freedom only.
And I'm not going to undergo any treatment.

venerdì 21 marzo 2014

SEXISM AND THE SILICON VALLEY

Mi indirizzo per caso su un articolo il cui titolo attira la mia attenzione:
"Il sessismo nella Silicon Valley e lo "strano" caso di Julie Ann Horvath". 
Leggo distrattamente, e lì per lì non capisco cosa ci sia di "strano". 
La giornalista esordisce così: 

"C’è una storia che sta facendo molto discutere i media americani e che parla di un tema assai controverso,quello del sessismo nell’industria del tech e nel mondo del lavoro in generale. 
- Da noi le discriminazione di genere sul posto di lavoro sono ancora un tema poco toccato. Le donne  in molte realtà italiane sono ancora costrette a combattere per il permesso di maternità e sono ancora troppo poche nei posti di comando per fare emergere la questione. Ma c’è da starne certi: tra qualche anno il dibattito diventerà caldo anche da noi."

Niente di "strano", dunque.

Un'ordinaria (purtroppo) storia di discriminazione di genere.
Continuo a leggere, cercando qualche spunto di riflessione, amara, naturalmente.
E mi sembra di non sentire nulla di nuovo, nulla di fuori dall'ordinario, niente di ecclatante.
Proseguo.

"Horvarth racconta di aver lavorato duro per cambiare la cultura maschilista, tipica dell’ambiente tecnologico che tiene fuori dalla porta le donne in quanto considerate “inesperte” e che funziona come un club per soli maschi. E spiega di essersi fatta valere puntando i piedi."
 [...]

Ma la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso di Julie è stata un’altra. 
“Un giorno ho visto due mie colleghe, due amiche e due donne che stimo molto, giocare con l’hula hoop in ufficio. 
E fin qui niente di male. 
Peccato che lo stessero facendo davanti a un gruppo di colleghi uomini che stavano lì seduti a guardarle e battevano le mani. 
Come se fosse uno strip club. 
Non ci ho più visto e me ne sono andata”.
[...]
Al di là del merito, questa storia è interessante perché dimostra come il problema del sessismo sul posto di lavoro (che sia in ambito tecnologico o meno) è ancora molto grande. Persino in realtà moderne e all’avanguardia come la Silicon Valley. 
E che le donne, cercando di combatterlo, mettono a rischio le loro carriere. 
Ma non solo. 
Quanto accaduto a Horvath dimostra come spesso siano le donne a fare la guerra alle donne sul posto di lavoro.  
“Femminista da strapazzo” sta diventando infatti un insulto molto comune, rivolto a quelle donne che non accettano comportamenti discriminatori o battute sessiste dai loro superiori. E non sempre queste parole escono dalla bocca di un uomo"


E ancora non trovo nulla che mi "stupisca".
Ho addirittura l'impressione che sia un'articolo buttato lì, giusto perché l'argomento ogni tanto torna di moda, viene trattato in modo superficiale ma nella realtà dei fatti ignorato nel profondo.

Ed ecco che (illuminazione!) l'interesse si risveglia.
E' proprio questo meccanismo perverso, che ci fa dubitare della realtà dei fatti, che ci fa sminuire la gravità ed il peso di certe situazioni, il problema.
Questa nostra "abitudine" a considerare le battute, i comportamenti squalificanti, questa ostentata condiscendenza nei confronti di esseri che (è palese, è ovvio, è naturale), sono diversi.
Qui risiede il problema.

Non entro nel merito dell'episodio o del fatto in sé, non lo conosco e non ho letto abbastanza.
Mi soffermo sull'impressione che un articolo come questo produce.
Vicino al nulla.

Poi finalmente una conclusione (astratta e avulsa dal contesto) che di nuovo risveglia l'attenzione, e che condivido.

"Ma davvero ribellarsi a logiche ottocentesche, rifiutare le battutine, sottrarsi al gioco di compiacimento [...] attraverso la comunicazione fisica o non accettare di essere messe all’angolo nonostante si sia sgobbato [...] è roba da femministe? Non è piuttosto il comportamento di essere umani che lavorano e pretendono, come tutti, che i loro diritti siano rispettati?

Ecco, al di là dello specifico caso, questo è un interrogativo che ha senso.
Questo è il punto di partenza (e forse anche di arrivo).
La richiesta di vedere riconosciuti i propri diritti è legittima, è doverosa.
Pretendere di non vedere sempre preso in considerazione il proprio corpo piuttosto che la persona nella sua interezza.
Sembra un'inezia. E' una montagna.
 
Al di là del caso specifico.

Fonte

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