I VESTITI DEL RE

La mia sola dipendenza è la libertà.
E non intendo disintossicarmi.
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I'm addicted to freedom only.
And I'm not going to undergo any treatment.

mercoledì 29 luglio 2009

EUTANASIA

Ho letto una toccante intervista alla moglie di Giovanni Nuvoli.
Recosonto di una sofferenza che non si può immaginare nemmeno mentre la si vive. Cronaca della crudeltà insensibile di chi ipocritamente dichiara di fare del male a qualcuno "per il suo bene". Tanto mi ricorda la "pedagogia nera" di cui la il nostro mondo è intriso.
Tutti dovremmo sapere, tutti dovremmo leggere queste parole. Non per capire il dramma, non è umanamente possibile non avendolo vissuto.
Ma per guardare in faccia l'ipocrisia. E smascherarla.

Il fatto (o meglio, l'epilogo):
24 luglio 2007
ALGHERO - È morto nella serata di lunedì Giovanni Nuvoli, 53 anni, di Alghero, affetto da sclerosi laterale amiotrofica che, come Piergiorgio Welby, aveva chiesto insistentemente che i medici ponessero fine alle sue sofferenze. La moglie Maddalena Soru ha precisato che al momento del decesso il respiratore «era ancora attaccato».
Da: Corriere.it



Il racconto:
Riporto alcuni brani brevi, tratti dalla conversazione di Maddalena Nuvoli che Vania Lucia Gaito ha trascritto su viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it , e che è possibile leggere per intero qui .

Non cercate di immaginare cosa sono stati questi anni per me. Non ci riuscireste. Ecco, mi sentivo come travolta da uno tsunami. Le onde erano molto più forti della mia volontà. L’unico punto fermo era Giovanni, la determinazione a stargli vicino e fare ciò che lui riteneva meglio per sé. Se solo si fosse rispettata la sua volontà, espressa sempre in maniera netta, senza tentennamenti, la sua agonia sarebbe durata molto meno. E invece il dolore di mio marito, la sua sofferenza, sono state prolungate in nome di non si sa bene cosa. Con un accanimento assurdo, feroce. Fino alla fine.
Voleva che la spina del respiratore fosse staccata. Era perfettamente lucido, sapeva con chiarezza cosa gli stava accadendo intorno e quali giochi inumani si portavano avanti sulla sua pelle. E non era affatto depresso, come qualcuno ha insinuato, come qualche giornale ha riportato. Voleva solo morire con dignità. E invece è stato costretto a morire di fame e di sete, tra sofferenze indicibili. E nessuno se ne è indignato, allora. Neppure i medici, neppure i giornalisti, neppure i benpensanti che invece, per il caso Englaro, hanno inondato col loro sdegno ipocrita le prime pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali. Quasi ci fosse una disparità tra il morire per fame e per sete di Eluana, involucro inconsapevole di una vita che l’aveva abbandonata da troppo tempo, e il morire per fame e per sete di Giovanni, costretto a scegliere la strada più estrema, più dolorosa, più atroce, per vedere finalmente rispettata la propria volontà.
[...]
[In ospedale] ...Si avvicinavano a lui e chiedevano: “Beh, come va, come va?” Non prendevano neanche il cartello, perché non lo sapevano neanche leggere, e dicevano: “Sì, sì, va bene, va bene”. Poi arrivavo io e leggevo il cartello: “Oggi ho mal di stomaco” e nessuno aveva preso il cartello per permettergli di farsi capire.
[...]“E lei crede che stiamo lì a salutare? Ma noi siamo abituati alle persone in coma!” Così come fu agghiacciante la risposta di un primario quando chiesi che, dopo il ritorno a casa di mio marito, gli infermieri venissero a casa per tre ore al mattino e tre ora la sera: “Signora, noi le diamo un’ora dei nostri infermieri specializzati, per il resto se lo smerda lei.”
[...]
Finché un giorno, al sacerdote che ripeteva la solita cantilena sulla vita che deve essere vissuta perché è un dono di Dio, mio marito ha risposto: io sono nato da solo e morirò da solo, e dunque se davanti a Dio andrò da solo, la mia vita me la devo gestire io; e se la religione e la legge italiana affermano che non bisogna manipolare l’embrione, perché manipolate me, che non sono più un embrione e sono un uomo?
[...]
... su Giovanni i tubi si moltiplicavano: aveva la PEG, il sondino che entra direttamente nello stomaco, aveva la tracheotomia, il catetere, il port-a-cath, un dispositivo biotecnologico che permette di avere un accesso venoso centrale sempre disponibile… E intubato così, un uomo può vivere all’infinito, vive all’infinito, controllatissimo, ogni funzione monitorata… e le medicine pronte per ogni evenienza. Si vive all’infinito, sì… ma in quella maniera è vita? Perché questo è il dramma: la SLA permette di sopravvivere anche vent’anni, trent’anni, quarant’anni. E si finisce col morire per un’infezione. Un’infezione causata magari proprio da uno dei tubi inseriti ovunque.
E Giovanni non voleva morire in questo modo. Aveva consapevolezza del proprio corpo, di cos’era diventato. E ogni tanto chiedeva una cosa terribile: pretendeva che gli fosse portato lo specchio. Lo specchio grande, quello del bagno, perché voleva guardarsi interamente. E quando chiedeva lo specchio, di colpo piombava un silenzio cupo, peso, e in quel silenzio cupo, peso, andavamo a prenderlo, con la schiena bassa. Non voleva che fossi io a descrivergli il suo corpo, voleva vederlo. E mentre si guardava, in quel gran silenzio, io guardavo il suo viso. E se gli cadeva una lacrima, mi faceva capire: non toccarla questa lacrima, perchè questo sono io…
Ecco, io ho visto tante cose terribili, ho vissuto tante cose terribili, ma una delle peggiori era sentir chiedere lo specchio, guardarlo mentre si guardava e capiva perché tanti suoi amici non venivano più a trovarlo, perché tanti dicevano “Preferisco ricordarlo com’era”.

Ma, per fortuna, c’era anche chi riusciva a guardare l’uomo oltre quel mucchietto di ossa, oltre quella pelle trasparente. Venivano e magari qualcuno usciva fuori a piangere e diceva: Maddalena, non ci riesco, non riesco ad entrare… Perché qualcuno aveva anche paura e io gli dicevo: non preoccuparti, ci dà coraggio lui, è lui che dà coraggio a noi. E alla fine, quando andavano via, si sentivano sollevati, contenti, e tornavano. Alcuni tornavano anche due volte alla settimana. Ed erano quelli che rispettavano il pensiero di Giovanni, rispettavano la sua volontà. Capivano che la fine sarebbe stata una liberazione, e lo capivano perché erano veramente amici, e quella sofferenza la portavano con lui.
[...]
Il 7 luglio, il dottor Ciacca si presentò dai carabinieri di Alghero, per consegnare al procuratore capo di Sassari un'informativa su quello che aveva intenzione di fare: staccare il ventilatore martedì 10 luglio alle 23. I carabinieri lo trattennero e il capitano Francesco Novi lo interrogò fino alle 2.30 del mattino. Ma a mezzogiorno di quel 10 luglio, il medico fu richiamato dai carabinieri: la procura aveva intenzione di fare tutto quanto in suo potere per impedire al dottor Ciacca di compiere la volontà di Giovanni. Così ci siamo ritrovati la casa circondata dai carabinieri. Non sapevo che fossero carabinieri, perché erano tutti in borghese.
[...]
... il lunedì seguente Giovanni decise di non alimentarsi più. In mattinata venne il medico, e scrisse nella cartella clinica che da quel giorno non si doveva più dargli cibo né acqua. Così, come fosse una cosa normale, come se non fosse una atrocità inumana che si consumava sotto gli occhi dei medici benpensanti, dei giornalisti, della gente per cui Giovanni Nuvoli non era più un uomo ma un campo di battaglia. E nessuno di loro si indignò, nessuno di loro si scandalizzò per quella decisione. Nessuno parlò di alimentazione forzata, di sacralità della vita, in quella occasione. Finsero di non vedere e non capire. Finsero che quella non fosse una scelta lucida e consapevole di un uomo che non avevano saputo ascoltare, capire. Finsero di credere che mio marito non si alimentasse più a causa di un aggravarsi della malattia, e che questo suo digiuno non fosse un atto, quello più estremo, per riappropriarsi del proprio diritto di scegliere. Ecco, questo è, in fondo, quello che li spaventa di più: che un uomo possa scegliere.
[...]

Troppo frammentario questo "collage di parole".
Va letto tutto, il racconto di Maddalena Nuvoli.
Non per dirle: "Mi immedesimo", perché lei così risponderebbe, a ragion veduta: "e in cosa, in cosa ti immedesimi? Non ci si può immedesimare, perché in quel corpo sfinito, in quelle ossa coperte da un po’ di pelle, c’era Giovanni", ma per sapere, per avere un quadro meno romanzato di quello che ci forniscono i media imbeccati dai politicanti di turno.

La morte fa parte della nostra vita. Siamo condannati a morte dal momento in cui veniamo concepiti. Non può farci così paura. Negandola non la eviteremo.
Sarebbe più bello poter decidere come (e quando) morire.

Piuttosto che pontificare e cavillare su condizioni estreme di malattia e sofferenza, potremmo sancire una volta per tutte il principio secondo cui nessuno può permettersi di privare della vita un altro essere umano che altrimenti starebbe benissimo (nemmeno con il pretesto di missioni di pace per esportare la democrazia).


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